giovedì 2 gennaio 2014

Una lotta per la Pace.

partecipanti al cineforum al Cinema Ducale di Urbino
La sera di mercoledì 20 novembre al cinema Ducale di Urbino più di 350 studenti universitari hanno avuto modo di confrontarsi su argomenti molto importanti e attuali. L’evento, organizzato dal gruppo F.U.C.I. di Urbino, che prevedeva la proiezione del film “Il figlio dell’altra” (regia di Lorraine Lévy), seguita dal dibattito e da un buffet finale, si inseriva nell’ambito dell’iniziativa, ormai giunta alla VI edizione, della “Settimana dell’Università”. La tematica di quest’anno “Internazionalizzazione degli studi, universalità del sapere” è riuscita a declinarsi in uno spazio ancora più ampio del terreno universitario, poiché si sono toccati argomenti quali l’identità, la cultura, la tradizione, la crescita umana e l’importanza della relazione. Un terreno, quello dell’università, molto fertile, che, se ben dissodato, può far nascere frutti di speranza per una società futura, e la serata è stata sicuramente una prova di come ci sia voglia di parlare di argomenti alti e importanti, argomenti che toccano la profondità dell’Uomo. Nel film in questione, che si svolge in un luogo simbolo dell’incontro/scontro tra culture come la Palestina, si racconta la storia di due ragazzi Joseph e Yacine che scoprono che quando sono stati partoriti, per errore sono stati scambiati alle loro rispettive madri. 
La complessità della situazione viene aggravata dal fatto che Joseph, di madre palestinese è cresciuto a Tel Aviv in una famiglia ebrea; mentre Yacine, ebreo per nascita cresce in una famiglia palestinese. Si immagini lo scompiglio che tale rivelazione getta tra le due famiglie. Ma questo tragico errore in realtà manderà in tilt tutti quei vani ragionamenti e pregiudizi che non fanno altro che allontanare dalla umanità e dividere in “razze”, dimenticando che di razza c’è solo quella umana. Un film, quindi, che diventa una denuncia silenziosa alla idiozia dell’uomo che incaponendosi e radicalizzandosi, si trasforma in ideologia nel momento in cui si costruisce le proprie ragioni. Ma, in realtà, la regista riesce a raccontarci tutto ciò con molto rispetto. Nessuno dei due popoli viene demonizzato; rimane invece una delicatezza che non lascia prendere le parti di una fazione piuttosto che di un’altra. È un insegnamento molto grande questo, perché sembra voler indicare la strada per una vera pace, che non è assenza di guerra, ma incontro verso l’altro (quello considerato diverso e nemico), per capire che in fin dei conti è semplicemente un uomo che ha, come ogni altro uomo, le proprie ragioni. Bisogna andare oltre le ideologie perché esse quasi sicuramente hanno spianato la strada e lo faranno ancora, a numerose guerre. Esiste l’ingiustizia, esistono situazioni incastrate, difficilissime da sbrogliare, perciò è necessario un capovolgimento di mentalità: una rivoluzione. Ma quale tipo di rivoluzione? Un’altra guerra? Nel film forse la lotta più turbolenta viene vissuta dai padri dei due ragazzi, perché incarnano l’ideologia dei rispettivi popoli. All’inizio non riescono proprio a parlarsi, quando ci provano si “vomitano” addosso i propri rancori, che in realtà sono rancori storici che hanno ereditato. Solamente quando superano il proprio orgoglio di razza, di popolo, e rivoluzionano il proprio sistema di pensiero, vincono la vera guerra, quella che ti porta interiormente a guardare l’altro come nemico. La vera rivoluzione si attua nel proprio cuore ed è quella che porterà all’avvicinamento verso l’altro. Rivoluzione dell’essere, del cuore e della mente.  
scena del film "Il figlio dell'altra"
Questo concetto, dunque, vale anche per i saperi e le conoscenze: l’incontro tra culture, se affrontato con umiltà, genera necessariamente una ricchezza, quella peculiare e preziosa che solo da questo scambio può scaturire. Finché non si capirà che l’una ha bisogno dell’altra per arrivare alla completezza non si riuscirà mai ad arrivare ad una nuova cultura che abbia alla base il rispetto per ciò che è diverso. E questo sistema culturale deve partire innanzitutto dai luoghi dell’educazione: scuole e università in primis. Da non confonder tutto ciò con l’omologazione e il sincretismo! Per poter arrivare a dialogare in maniera matura, è necessario prima capire chi si è, qual è la propria identità, la propria storia passata, i propri ideali, i propri sogni: l’aver piena coscienza di sé produce la libertà giusta per affrontare la diversità dell’altro. 

La F.U.C.I. di Urbino ha voluto lanciare una sfida che evidentemente è stata accolta con molto entusiasmo dai partecipanti, una sfida che parte dal non volersi rassegnare alla palude della disperazione che appiattisce e intristisce le coscienze ormai assuefatte da questa crisi molto spesso anche troppo ingigantita. È necessario, oggi, trovare una strada per poter ripartire e poter dare speranze nuove ad una società abbastanza infiacchita. L’università, è uno spazio e un tempo privilegiato che non può ridursi ad una semplice frequentazione di lezioni, superamento di esami e acquisizione di crediti. L’ambiente universitario può ritornare ad essere luogo di fermento intellettuale, di crescita, accoglienza e maturazione umana proprio perché è nella sua naturale vocazione l’incontro di culture diverse, l’intreccio di relazioni che possono diventare significativi, la spinta ad un “di più” nella ricerca, nello studio, nei saperi. Allora anche le discipline che studiamo hanno bisogno di dialogare tra loro per superare queste ormai stagionate diffidenze che si impongono tra saperi scientifici e umanistici. L’università può, e deve, promuovere questo, per condurre ad una “Universalità del Sapere”: è necessario quindi che essa educhi ad uscire fuori dai propri preconcetti, che non fanno altro che alzare barriere e pregiudizi. La parcellizzazione dei saperi, così come la parcellizzazione delle culture, hanno molto in comune, però possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Specializzarsi in un settore di ricerca è molto importante, così come il mantenere vive le proprie tradizioni culturali e familiari, poiché sono proprio queste specifiche che definiscono un’identità; ma bisogna fare attenzione a non perdere lo sguardo ampio verso l’esterno, verso l’altro, rischiando di chiudersi nel proprio settore. Andare avanti per la propria strada va bene, ma non si dimentichi che il cammino è compiuto anche e soprattutto insieme ad altri.
Michele Cencio

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