mercoledì 8 gennaio 2014

Uno studio pieno di luce.

Lo studio, una parola che racchiude un mondo, il nostro mondo di studenti e non solo. Un mondo che molto spesso viviamo male. Ci costringiamo a stare con la testa fra i libri, a memorizzare parole fissate sulla carta, a ripetere concetti espressi da altri. Ci dimentichiamo che lo studio è dinamico, vivo e che agisce in noi. E' l'incontro tra quello che viviamo e quello che vivremo, perché tutto si trasforma acquisendo una nuova prospettiva, e dalla potenza, da quello che leggiamo sulla carta, diventa atto, diventa Vita. L’esperienza che viviamo nel quotidiano andrebbe affrontata con dedizione e passione, quella passione che si dovrebbe respirare ogni volta che si fanno cose belle. Essa nasce dal toccare con mano, dalla comprensione che quel concetto a cui ci stiamo affacciando non è astratto, ma è realtà viva e affascinante. Ciò che studiamo è lo strumento con cui forgiare la nostra opera d'arte, l'opera d'arte della nostra vita, che, grazie alle nostre energie, sarà di un materiale solido in grado di non essere scalfito dalle difficoltà, dai dubbi, dai problemi che di certo non mancano né mancheranno mai. Lo studio vissuto bene non è fine a se stesso, ma deve essere rivolto verso un obiettivo che includa gli altri, che sia a favore della vita, una vita bella per noi e per gli altri. Nulla di ciò che studiamo si perde, ma matura in noi, ci rende unici e ci permette di uscire dagli schemi, di pensare con la nostra testa. In questa ricerca della Verità non ci deve abbandonare la tenacia, affinché riusciamo ad avvicinarci sempre più alla conoscenza, ovunque essa si trovi. Ed è proprio perché lo studio è incontro che bisogna ricercare la condivisione con gli altri, soprattutto nei momenti di stanchezza e difficoltà, perché è grazie agli altri che l'elaborazione viene facilitata e la fiamma ravvivata.
Tuttavia la passione che contribuisce a renderci unici e a farci agire fuori dagli schemi non ci deve rendere solo assetati di conoscenza, ma deve essere guidata anch'essa dalla luce della Verità. Questo non significa che penseremo di possedere la verità, ma che agiremo in modo tale da trovarci in condizione di ricercarla liberamente, giorno per giorno, avendo quella fede, che ci assicura la sua esistenza, senza la quale nulla avrebbe più senso.


Lucia Musumano

Riflessioni di uno studente erasmus a Cipro.

Rientrato da poche settimane da Cipro e ancora nella fase di “ritorno alla normalità”, che attraversano tutti gli studenti Erasmus, ho accolto con entusiasmo la possibilità di testimoniare la mia esperienza. Sono uno studente di 21 anni che frequenta il terzo anno di economia aziendale che ha deciso di trascorrere un semestre all'estero. Carico di aspettative e di curiosità, ma anche di paure e perplessità, sono partito alla volta di quella che sembrava profilarsi più una vacanza, come ironizzato da molti, piuttosto che un soggiorno studio, vista la destinazione scelta.
Appena uscito dall'aeroporto di Larnaca, senza neanche aver il tempo di riprendermi dall'impatto dei 38° di fine settembre, alcuni studenti mi sono venuti a prendere e mi hanno condotto all'appartamento convenzionato con l'università. Grazie alla disponibilità del coordinatore Erasmus e degli studenti, sono riuscito ad ambientarmi senza troppi traumi, anche facilitato dalla cultura e dallo stile di vita mediterranei molto simili ai nostri. Con il passare del tempo, ho iniziato a notare alcune differenze di questo paese che, pur essendo europeo, presenta anche tratti delle vicine culture asiatiche, ed è questa caratteristica che lo rende uno stato unico al mondo con un popolo dal carattere estroverso. Nonostante la crisi, la popolazione mostra uno spirito di tranquillità e fiducia che, invece, è assente da tempo in Italia. Probabilmente perché è più preparata ad affrontare periodi difficili: più vivo che mai, infatti, è il ricordo del conflitto con i turchi, in cui molte famiglie sono state cacciate dalle loro case ritrovandosi, da un giorno all'altro, senza avere niente. La crisi, comunque, non ha evitato di inasprire antichi odi, complicando una situazione già complessa che fa di Cipro l'unico paese in Europa ancora diviso da un muro: molti sono coloro che rivendicano case e terreni dai quali sono stati cacciati. L'opinione pubblica è divisa su questioni come l’uscita dall'euro, il rifiuto dell'aiuto da parte della Troika e addirittura l’uscita dall'Europa. La classe benestante e coloro che hanno più da perdere invitano alla prudenza e vogliono evitare il defolt; in ambiente accademico i problemi vengono attribuiti alla mala gestione dei politici e alla troppa severità delle misure europee, mentre giovani, vecchi e tutti coloro che hanno vissuto la povertà non temono soluzioni più radicali. A detta di questi ultimi, essi non hanno paura di perdere parte dei loro soldi qualora questo serva a salvare la dignità e l'indipendenza di un popolo che dominato fin dalla storia, oggi, nonostante il sangue sparso, si ritrova per l'ennesima volta sotto il controllo di stranieri invasori. Infatti, il nord del Paese è occupato e governato dai turchi, e il sud non è poi così autonomo, vista la presenza di basi militari inglesi e l'influenza delle compagnie multinazionali, che sfruttano la bassa pressione fiscale e le agevolazioni; il tutto è poi  "condito" da direttive europee, che impongono tagli di stipendi e aumento delle tasse. Mentre si discutono eventuali scenari possibili, i prezzi aumentano e i salari restano bassi, e il settore edilizio, pilastro dell'economia di Cipro, è ormai al collasso, dopo un’euforia speculativa analoga a quella di tanti altri paesi. In seguito ai recenti avvenimenti, ora, come mi hanno detto i miei ex compagni di corso, la gente è molto preoccupata ed è pronta al peggio. C'è grande paura per il fondamentale settore del turismo: il prelievo forzato dei conti fa temere non solo l'esodo dei capitali, ma anche dei turisti, in particolare russi e inglesi, ogni anno vanno a trascorrere le vacanze a Cipro e che spesso sono i detentori di questi capitali.
Ciò che mi ha colpito è la pazienza di queste persone, le quali, nonostante si sentano tradite dai loro politici, hanno fiducia in soluzioni che evitino il disastro, e lo dimostrano protestando sempre in modo civile, cercando di evitare le tensioni falsamente propagandate dai media.
Sono contento di aver fatto questa esperienza estremamente arricchente. Studiare all'estero, infatti, è un’ottima carta da spendere nel mercato del lavoro globalizzato, dove conoscenza dell'inglese e disponibilità a viaggiare sono dei requisiti ormai minimi. Vivere lontano da casa, inoltre, è un’opportunità per confrontarsi con altre culture, con se stessi e con le proprie capacità, e permette di acquisire consapevolezza della propria identità e di apprezzare le molte cose che prima si davano per scontato. Spero che sempre più studenti decidano di imbarcarsi in questa avventura.

Alberto Lazzari

giovedì 2 gennaio 2014

Cos'è la Bellezza? Lo sguardo del professor Cangiotti.

Intervista al professor Marco Cangiotti, professore ordinario di Filosofia Politica e Preside della Facoltà di Scienze Politiche ad Urbino

D. Esiste la Bellezza? E se esiste, dove possiamo trovarla?

R. Certo che la bellezza esiste, e la si può trovare in quasi ogni cosa. Il vero problema non è dunque questo, ma è come poterla incontrare, cosa di cui spesso molte persone non sembrano più capaci. La prima cosa che occorre per incontrare la bellezza è il sapere vedere, è essere capaci di sguardo. Ma cosa significa “sguardo”? Secondo il vocabolario Treccani, la parola sguardo sopporta due significati; il primo, immediato e soggettivo, è quello dell’atto del guardare,; il secondo, estensivo e oggettivo, è quello di visuale, vista, veduta: come, per esempio, quando si dice “dalle finestre di casa mia si gode un bellissimo sguardo sul parco”. Questo doppio significato, soggettivo e oggettivo, è già carico di una forte indicazione. L’indicazione secondo la quale nel guardare, nella visione, si realizza una “riscrittura” della realtà, riscrittura in forza della quale non si danno più il soggetto e l’oggetto nella loro isolatezza e contrapposizione, cessa il solum ipsum, il solipsismo, e compare una dimensione unitaria che i filosofi definiscono appropriatamente col concetto di unità dell’esperienza. Lo sguardo, dunque, ci porta all’esperienza. L’esperienza prima di tutto coincide con la vita, con il vivere, e lo dice la parola stessa che ha la sua radice nella lingua latina: ex-perior, ex ossia tiro fuori, perior dal greco peirao ossia provare: tiro fuori da ciò che provo, dove il senso esatto di questo provare è ben detto dal termine che traduce esperienza nella lingua tedesca, Erlebnis, alla cui radice sta il verbo leben, vivere. Esperienza è ciò che tiro fuori dal vivere. Unità dell’esperienza significa, allora, che il vivere, per noi umani, è costituito dall’intreccio incessante fra noi e il resto che ci circonda, e lo sguardo è esattamente la funzione di questo intreccio, di questa relazione. Con il solo io non ci sarebbe vita, la vita c’è quando l’io incontra, prima di tutto attraverso lo sguardo, l’altro, che può essere l’altro io, cioè il tu, o l’altro reale, ossia la res, cioè gli oggetti, o il totalmente Altro, cioè Dio. Dunque, se si vive aperti alla realtà che è fuori di noi e la si vuole incontrare in profondità e non appena utilizzare o sfruttare, allora si incontra la bellezza.

D. Oggi  ciò che è comunemente accettato, perché imposto, è l'equivalenza di Bellezza e perfezione. E' davvero così? La Bellezza è, o deve essere necessariamente perfezione?

R. La parola “perfezione” è una parola estremamente ambigua, e oggi viene normalmente usata per indicare qualcosa che non ha difetti. Ma io mi chiedo: cosa significa “difetto”? Il più delle volte con difetto si intende ciò che non corrisponde ai nostri schemi e ai nostri preconcetti, che poi in verità non sono neanche i nostri, ma quelli imposti dalle mode, dalla mentalità comune. Per incontrare la bellezza tutto questo è un ostacolo, a volte insormontabile. Liberiamocene. Piuttosto per parlare di bellezza occorre parlare di “forma”. Secondo uno dei più grandi pensatori contemporanei, von Balthasar, la bellezza è ciò che ha a che fare con la forma, tanto che in latino bello si dice "formosus". Cosa è la forma? È l'unità interna di una cosa, il suo ordine, la sua armonia. Ciò che ha forma è cosmo, in opposizione a caos. Cogliendo la forma è possibile afferrare il principio organizzativo di ogni essere, che è tanto più strutturato quanto più esso è di grado superiore nella scala degli esseri: pensate, per esempio, al confronto fra la complessa e bellissima organizzazione del corpo umano e la assai più semplice e meno bella – anche se comunque bella - organizzazione di un filo d’erba. La forma - dice Balthasar - splende, si dà a conoscere. Ecco se con perfezione intendiamo dire lo splendore della forma che un essere ha, allora la bellezza ha a che fare con la perfezione, ma questa perfezione non centra nulla coi parametri sociali delle mode o con i nostri pregiudizi sui “difetti”. Per cercare di cogliere la bellezza di una persona non si può fare a meno della sua forma, come per gustare un'opera d'arte.
Pieve di San Cassiano in località Castel Cavallino (PU)

D. Cosa è per Lei la Bellezza? Ne ha potuto far esperienza nella Sua vita?

R. La bellezza è un dono, e in questo dono, per dirla ancora con von Balthasar, il Tutto, che mai noi potremmo catturare con la nostra intelligenza o con la nostra forza, si rende presente, si dona a noi, in un frammento. La bellezza è il paradosso per cui in una forma finita si rende in qualche modo visibile, percepibile, l’Infinito. Per questo motivo la bellezza è una strada privilegiata che ci conduce verso il significato ultimo della nostra esistenza, qualcosa che illumina e che ci indica la salvezza. Vorrei citare una frase del beato Giovanni Paolo II, che dice meglio di me quello che intendo dire: “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. E’ invito a gustare la vita e a sognare il futuro”. Per questo, la bellezza delle cose create non può appagare, e suscita una potente nostalgia di Dio, la bellezza ultima, aprendoci alla speranza di poterla raggiungere. Direi non che io ho fatto esperienza della bellezza, ma che io faccio, ogni giorno, esperienza della bellezza. In ogni cosa e in ogni situazione: guardando il volto di mia moglie, guardando i miei figli aprirsi alla vita, guardando lo spettacolo delle digradare delle colline verso i monti dal Torrione di San Polo (in fondo a via Saffi), guardando il volo delle rondini, guardando le nuvole, guardando una Madonna di Raffaello o un disegno a matita di una mia cara amica che ritrae delle ciliegie in penombra. Guardando, e cercando di tirar fuori la forma di ciò che guardo. Ripeto, la bellezza esiste; il problema è se noi la sappiamo incontrare.

Università …dimensione di vita bella?

Giovedì 28 novembre 2013, a Urbino, presso il Collegio Raffaello, si è svolto il primo seminario politico-sociale del ciclo “Dimensione uomo”, organizzato dal gruppo FUCI di Urbino Pier Giorgio Frassati”. Gli ospiti presenti - il prof. Mariano Pierantozzi, docente di matematica all'Università degli studi di Camerino, e la dottoressa Rita Pilotti, presidente nazionale della FUCI, laureata in filosofia presso l'università Roma 3 - hanno affrontato il tema “Università. Formare ed esprimere: ruoli e/o persone?”.

Nonostante il quadro negativo delle università italiane, ormai agli ultimi posti in Europa, il professor Pierantozzi ha cercato di riflettere su questo tema, partendo da domande stimolanti, e cariche di positività. Quale dovrebbe essere oggi l'obiettivo dell'università? Che tipo di preparazione deve fornire? È centro di circolazione della cultura? È in grado di generare talenti? Riesce a muovere verso il meglio? “Occorre, afferma il prof. Pierantozzi, riconsiderare l'uomo come centro e fine dell'istruzione, denominatore comune attorno al quale si sviluppa la dialettica tra le varie branche del sapere, che oggi, purtroppo, sono sempre più settoriali e parcellizzate, dimentiche della loro identità di provenienza. La didattica è sterile, fine a se stessa, snaturata da tecnicismi e specialismi. Siamo di fronte ad una mercificazione del sapere, ormai assoggettato alle logiche del mercato più che a servizio dell'uomo. Se lo studente non viene posto nelle condizioni di pensare e agire in modo critico nella società, interpretandone le sue dinamiche, l'istruzione, allora, non è altro che un mero riempire la mente di nozioni, regole e formule, capace di creare professionisti esperti, ma non persone adulte e consapevoli”.
Continua, poi, la dottoressa Pilotti: “Troppo spesso lo spazio universitario non è più vissuto come luogo di formazione integrale. Esso non può essere limitato allo studio e al frequentare le lezioni, deve essere vissuto come un’opportunità in cui si acquisiscono gli strumenti per vivere e per compiere con responsabilità le scelte quotidiane. Chiaramente nell'università non si va avanti solo con i desideri e con la curiosità, precisa Rita, ma essa è luogo di tensione tra pensiero e disciplina, momento di disillusione dove ci si scontra con i propri limiti, dove è chiesto fare anche cose che non piacciono, ma è da qui che bisogna ripartire per comprendersi sempre meglio”.

L'università, aggiunge Pierantozzi, è la fucina dei nostri sogni, delle nostre aspirazioni; luogo di incontro, confronto, relazione, luogo dove ognuno può far sbocciare il proprio talento e individuare la propria vocazione. Troppo spesso i metodi di insegnamento e di valutazione non lasciano spazio all'emergere della creatività e della passione che spinge alla ricerca, tutto è subordinato a fredde dinamiche da “esamificio”, a lezioni passive dove lo studente ha poca possibilità di dialogare ed esprimersi”.

L'Italia ha bisogno più che mai di giovani dotati di iniziativa, che non hanno rinunciato a pensare, a
porre domande, a studiare con il gusto di approfondire ogni settore della vita. L'università è la linfa
vitale della civiltà, trascurarla vuol dire rinunciare al futuro.

Alberto Lazzari

Una lotta per la Pace.

partecipanti al cineforum al Cinema Ducale di Urbino
La sera di mercoledì 20 novembre al cinema Ducale di Urbino più di 350 studenti universitari hanno avuto modo di confrontarsi su argomenti molto importanti e attuali. L’evento, organizzato dal gruppo F.U.C.I. di Urbino, che prevedeva la proiezione del film “Il figlio dell’altra” (regia di Lorraine Lévy), seguita dal dibattito e da un buffet finale, si inseriva nell’ambito dell’iniziativa, ormai giunta alla VI edizione, della “Settimana dell’Università”. La tematica di quest’anno “Internazionalizzazione degli studi, universalità del sapere” è riuscita a declinarsi in uno spazio ancora più ampio del terreno universitario, poiché si sono toccati argomenti quali l’identità, la cultura, la tradizione, la crescita umana e l’importanza della relazione. Un terreno, quello dell’università, molto fertile, che, se ben dissodato, può far nascere frutti di speranza per una società futura, e la serata è stata sicuramente una prova di come ci sia voglia di parlare di argomenti alti e importanti, argomenti che toccano la profondità dell’Uomo. Nel film in questione, che si svolge in un luogo simbolo dell’incontro/scontro tra culture come la Palestina, si racconta la storia di due ragazzi Joseph e Yacine che scoprono che quando sono stati partoriti, per errore sono stati scambiati alle loro rispettive madri. 
La complessità della situazione viene aggravata dal fatto che Joseph, di madre palestinese è cresciuto a Tel Aviv in una famiglia ebrea; mentre Yacine, ebreo per nascita cresce in una famiglia palestinese. Si immagini lo scompiglio che tale rivelazione getta tra le due famiglie. Ma questo tragico errore in realtà manderà in tilt tutti quei vani ragionamenti e pregiudizi che non fanno altro che allontanare dalla umanità e dividere in “razze”, dimenticando che di razza c’è solo quella umana. Un film, quindi, che diventa una denuncia silenziosa alla idiozia dell’uomo che incaponendosi e radicalizzandosi, si trasforma in ideologia nel momento in cui si costruisce le proprie ragioni. Ma, in realtà, la regista riesce a raccontarci tutto ciò con molto rispetto. Nessuno dei due popoli viene demonizzato; rimane invece una delicatezza che non lascia prendere le parti di una fazione piuttosto che di un’altra. È un insegnamento molto grande questo, perché sembra voler indicare la strada per una vera pace, che non è assenza di guerra, ma incontro verso l’altro (quello considerato diverso e nemico), per capire che in fin dei conti è semplicemente un uomo che ha, come ogni altro uomo, le proprie ragioni. Bisogna andare oltre le ideologie perché esse quasi sicuramente hanno spianato la strada e lo faranno ancora, a numerose guerre. Esiste l’ingiustizia, esistono situazioni incastrate, difficilissime da sbrogliare, perciò è necessario un capovolgimento di mentalità: una rivoluzione. Ma quale tipo di rivoluzione? Un’altra guerra? Nel film forse la lotta più turbolenta viene vissuta dai padri dei due ragazzi, perché incarnano l’ideologia dei rispettivi popoli. All’inizio non riescono proprio a parlarsi, quando ci provano si “vomitano” addosso i propri rancori, che in realtà sono rancori storici che hanno ereditato. Solamente quando superano il proprio orgoglio di razza, di popolo, e rivoluzionano il proprio sistema di pensiero, vincono la vera guerra, quella che ti porta interiormente a guardare l’altro come nemico. La vera rivoluzione si attua nel proprio cuore ed è quella che porterà all’avvicinamento verso l’altro. Rivoluzione dell’essere, del cuore e della mente.  
scena del film "Il figlio dell'altra"
Questo concetto, dunque, vale anche per i saperi e le conoscenze: l’incontro tra culture, se affrontato con umiltà, genera necessariamente una ricchezza, quella peculiare e preziosa che solo da questo scambio può scaturire. Finché non si capirà che l’una ha bisogno dell’altra per arrivare alla completezza non si riuscirà mai ad arrivare ad una nuova cultura che abbia alla base il rispetto per ciò che è diverso. E questo sistema culturale deve partire innanzitutto dai luoghi dell’educazione: scuole e università in primis. Da non confonder tutto ciò con l’omologazione e il sincretismo! Per poter arrivare a dialogare in maniera matura, è necessario prima capire chi si è, qual è la propria identità, la propria storia passata, i propri ideali, i propri sogni: l’aver piena coscienza di sé produce la libertà giusta per affrontare la diversità dell’altro. 

La F.U.C.I. di Urbino ha voluto lanciare una sfida che evidentemente è stata accolta con molto entusiasmo dai partecipanti, una sfida che parte dal non volersi rassegnare alla palude della disperazione che appiattisce e intristisce le coscienze ormai assuefatte da questa crisi molto spesso anche troppo ingigantita. È necessario, oggi, trovare una strada per poter ripartire e poter dare speranze nuove ad una società abbastanza infiacchita. L’università, è uno spazio e un tempo privilegiato che non può ridursi ad una semplice frequentazione di lezioni, superamento di esami e acquisizione di crediti. L’ambiente universitario può ritornare ad essere luogo di fermento intellettuale, di crescita, accoglienza e maturazione umana proprio perché è nella sua naturale vocazione l’incontro di culture diverse, l’intreccio di relazioni che possono diventare significativi, la spinta ad un “di più” nella ricerca, nello studio, nei saperi. Allora anche le discipline che studiamo hanno bisogno di dialogare tra loro per superare queste ormai stagionate diffidenze che si impongono tra saperi scientifici e umanistici. L’università può, e deve, promuovere questo, per condurre ad una “Universalità del Sapere”: è necessario quindi che essa educhi ad uscire fuori dai propri preconcetti, che non fanno altro che alzare barriere e pregiudizi. La parcellizzazione dei saperi, così come la parcellizzazione delle culture, hanno molto in comune, però possono rivelarsi un’arma a doppio taglio. Specializzarsi in un settore di ricerca è molto importante, così come il mantenere vive le proprie tradizioni culturali e familiari, poiché sono proprio queste specifiche che definiscono un’identità; ma bisogna fare attenzione a non perdere lo sguardo ampio verso l’esterno, verso l’altro, rischiando di chiudersi nel proprio settore. Andare avanti per la propria strada va bene, ma non si dimentichi che il cammino è compiuto anche e soprattutto insieme ad altri.
Michele Cencio

SEMI DI SPERANZA. Le parole umane e appassionate della Boldrini agli studenti di Urbino.

In occasione della cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2013/2014, l'Università degli Studi di Urbino ha avuto l'onore di avere come ospite la Presidente della Camera Laura Boldrini. Ad aprire la cerimonia le parole del Rettore Stefano Pivato, seguite da quelle della portavoce del consiglio studentesco Agnese Sabatino e della rappresentante del personale tecnico-amministrativo Angela Angeli. Ognuno ha messo in evidenza la situazione di difficoltà che l'università Italiana, e in particolare l'ateneo di Urbino, stanno vivendo: l'università italiana è agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda la ricerca, il numero di iscritti, i finanziamenti ricevuti, il numero di studenti in corso, i beneficiari del diritto allo studio, e per quanto riguarda le tasse, esse registrano le cifre più alte. Questi sono solo alcuni dei problemi che sono emersi. Sicuramente una realtà angosciante e disarmante. Migliorano la situazione i dati su alcuni trend urbinati, in controtendenza a quelli nazionali, come ad esempio l'apertura alla domanda di conoscenza globale, l'aumento del numero delle immatricolazioni e la diminuzione degli studenti fuori corso che sono passati dai 5000 del 2009 ai 2900 del 2013. Come è possibile che ci sia una politica così poco lungimirante nei confronti di uno dei settori-pilastro dello stato? Come è possibile che riusciamo a fare persino peggio di stati all'apparenza più arretrati di noi? É veramente impossibile evitare questo stato di cose? Di chi è la responsabilità di tutto questo? La cosa più semplice per alleviare lo sconforto è scagliarsi contro un responsabile, contro un capro espiatorio: “sono i politici, sono i professori baroni”, ma è solo questo? La Presidente Boldrini avrebbe potuto puntare il dito contro facili bersagli, attribuendo loro tutte le colpe (in fondo lei è in Parlamento solo da pochi mesi), poteva mettere sul piatto mille “ricette magiche”: ma non l'ha fatto! Si è sentita tra le parti responsabili di questa situazione, affermando che una politica che non investe sulla cultura non è lungimirante, poiché la scuola e la ricerca sono il sangue della democrazia, la vera ricchezza di un paese. Ha continuato, poi, facendosi donna, madre, cittadina. Parlando con il cuore ha raccontato di sogni, di uomini, di passione e di perseveranza: “Questo mondo appartiene ai sognatori che, mossi dalla passione, negli ostacoli trovano motivazioni e non alibi. Oggi, più di ieri, è necessaria una classe di persone serie, desiderose di discernere e comprendere la realtà, che fungano da bussola in questo mare magnum di superficialità che ci circonda. Vivo con disagio la disinvoltura con cui alcuni parlamentari partecipano a trasmissioni televisive in vesti di “tuttologi”, mentre gli altri esperti nelle materie sulle quali sono chiamati a legiferare rimangono nell’ombra”. Queste parole sembrano una melensa retorica, un ingenuo ottimismo, ma dirle non è mai scontato, sono parole semplici, quasi banali, ma che non si perdono nel vento, piccoli semi di speranza gettati nel cuore di tutti coloro che non hanno rinunciato a costruire un mondo migliore partendo dalle piccole azioni quotidiane. Senza scaricare le responsabilità su altri, ma cercando di crescere ogni giorno, bisogna ripartire dalle domande che contano, quelle domande che ogni studente dovrebbe porsi: “cosa significa vivere appieno l'università?” “È centro di circolazione della cultura?” “È generatrice di talenti?” “Riesce a far scattare la passione?” “Che utilità ha quello che si studia?” “C'è un metodo di valutazione dell'insegnamento serio, oppure il percorso professionale è lasciato alla fortuna di incontrare il buon docente?”
L'Italia non ha più bisogno di disfattismi, rivoluzioni o colpi di scena, ma di persone che cercano di risolvere con perseveranza, costanza e passione questi problemi, senza appiattirsi sul presente né rimandare sempre al futuro.

Alberto Lazzari