Intervista al professor Marco Cangiotti, professore ordinario di Filosofia Politica e Preside della Facoltà di Scienze Politiche ad Urbino
D. Esiste
la Bellezza? E se esiste, dove possiamo trovarla?
R. Certo
che la bellezza esiste, e la si può trovare in quasi ogni cosa. Il vero
problema non è dunque questo, ma è come poterla incontrare, cosa di cui spesso
molte persone non sembrano più capaci. La prima cosa che occorre per incontrare
la bellezza è il sapere vedere, è essere capaci di sguardo. Ma cosa significa
“sguardo”? Secondo il vocabolario Treccani, la parola sguardo sopporta due
significati; il primo, immediato e soggettivo, è quello dell’atto del
guardare,; il secondo, estensivo e oggettivo, è quello di visuale, vista,
veduta: come, per esempio, quando si dice “dalle finestre di casa mia si
gode un bellissimo sguardo sul parco”. Questo doppio significato,
soggettivo e oggettivo, è già carico di una forte indicazione. L’indicazione
secondo la quale nel guardare, nella visione, si realizza una “riscrittura”
della realtà, riscrittura in forza della quale non si danno più il soggetto e
l’oggetto nella loro isolatezza e contrapposizione, cessa il solum ipsum,
il solipsismo, e compare una dimensione unitaria che i filosofi definiscono
appropriatamente col concetto di unità dell’esperienza. Lo sguardo,
dunque, ci porta all’esperienza. L’esperienza prima di tutto coincide con la
vita, con il vivere, e lo dice la parola stessa che ha la sua radice nella
lingua latina: ex-perior, ex ossia tiro fuori, perior dal
greco peirao ossia provare: tiro fuori da ciò che provo, dove il senso
esatto di questo provare è ben detto dal termine che traduce esperienza nella
lingua tedesca, Erlebnis, alla cui radice sta il verbo leben,
vivere. Esperienza è ciò che tiro fuori dal vivere. Unità dell’esperienza
significa, allora, che il vivere, per noi umani, è costituito dall’intreccio
incessante fra noi e il resto che ci circonda, e lo sguardo è esattamente la
funzione di questo intreccio, di questa relazione. Con il solo io non ci
sarebbe vita, la vita c’è quando l’io incontra, prima di tutto attraverso lo
sguardo, l’altro, che può essere l’altro io, cioè il tu, o l’altro reale, ossia
la res, cioè gli oggetti, o il totalmente Altro, cioè Dio. Dunque, se si
vive aperti alla realtà che è fuori di noi e la si vuole incontrare in
profondità e non appena utilizzare o sfruttare, allora si incontra la bellezza.
D.
Oggi ciò che è comunemente accettato, perché imposto, è
l'equivalenza di Bellezza e perfezione. E' davvero così? La Bellezza è, o deve
essere necessariamente perfezione?
R. La parola “perfezione” è una parola estremamente
ambigua, e oggi viene normalmente usata per indicare qualcosa che non ha
difetti. Ma io mi chiedo: cosa significa “difetto”? Il più delle volte con
difetto si intende ciò che non corrisponde ai nostri schemi e ai nostri
preconcetti, che poi in verità non sono neanche i nostri, ma quelli imposti
dalle mode, dalla mentalità comune. Per incontrare la bellezza tutto questo è
un ostacolo, a volte insormontabile. Liberiamocene. Piuttosto per parlare di
bellezza occorre parlare di “forma”. Secondo uno dei più grandi
pensatori contemporanei, von Balthasar, la bellezza è ciò che ha a che fare con
la forma, tanto che in latino bello si dice "formosus". Cosa è la
forma? È l'unità interna di una cosa, il suo ordine, la sua armonia. Ciò che ha
forma è cosmo, in opposizione a caos. Cogliendo la forma è possibile afferrare
il principio organizzativo di ogni essere, che è tanto più strutturato quanto
più esso è di grado superiore nella scala degli esseri: pensate, per esempio,
al confronto fra la complessa e bellissima organizzazione del corpo umano e la
assai più semplice e meno bella – anche se comunque bella - organizzazione di
un filo d’erba. La forma - dice Balthasar - splende, si dà a conoscere. Ecco se
con perfezione intendiamo dire lo splendore della forma che un essere ha,
allora la bellezza ha a che fare con la perfezione, ma questa perfezione non
centra nulla coi parametri sociali delle mode o con i nostri pregiudizi sui
“difetti”. Per cercare di cogliere la bellezza di una persona non si può fare a
meno della sua forma, come per gustare un'opera d'arte.
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Pieve di San Cassiano in località Castel Cavallino (PU) |
D.
Cosa è per Lei la Bellezza? Ne ha potuto far esperienza nella Sua vita?
R. La bellezza è un dono, e in questo dono, per dirla ancora
con von Balthasar, il Tutto, che mai noi potremmo catturare con la nostra
intelligenza o con la nostra forza, si rende presente, si dona a noi, in un
frammento. La bellezza è il paradosso per cui in una forma finita si rende in
qualche modo visibile, percepibile, l’Infinito. Per questo motivo la bellezza è
una strada privilegiata che ci conduce verso il significato ultimo della nostra
esistenza, qualcosa che illumina e che ci indica la salvezza. Vorrei citare una
frase del beato Giovanni Paolo II, che dice meglio di me quello che intendo
dire: “La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. E’
invito a gustare la vita e a sognare il futuro”. Per questo, la bellezza delle
cose create non può appagare, e suscita una potente nostalgia di Dio, la
bellezza ultima, aprendoci alla speranza di poterla raggiungere. Direi non che
io ho fatto esperienza della bellezza, ma che io faccio, ogni giorno,
esperienza della bellezza. In ogni cosa e in ogni situazione: guardando il
volto di mia moglie, guardando i miei figli aprirsi alla vita, guardando lo
spettacolo delle digradare delle colline verso i monti dal Torrione di San Polo
(in fondo a via Saffi), guardando il volo delle rondini, guardando le nuvole,
guardando una Madonna di Raffaello o un disegno a matita di una mia cara amica
che ritrae delle ciliegie in penombra. Guardando, e cercando di tirar fuori la
forma di ciò che guardo. Ripeto, la bellezza esiste; il problema è se noi la
sappiamo incontrare.