Sul piano etimologico, nella sua accezione più diffusa e semplice, "democrazia" significa "potere del popolo". Ma, alla luce dello scenario politico attuale, il popolo esercita davvero questo potere? O meglio, è pienamente consapevole di poter esercitare un potere il cui vero fine è quello di garantire il bene del popolo stesso?
La domanda
può apparire semplicemente retorica, di quasi scontata risposta, ma, in realtà,
racchiude in sé il vero nucleo problematico del quadro all’interno del quale è
inserita la democrazia. L’elemento portante della stessa è appunto il popolo,
nella sua pluralità e varietà, cioè in quanto composto di singoli individui che
sono legati tra loro e alla loro terra da un sentimento di appartenenza che li
rende cittadini. Essi organizzano la loro
vita sociale ispirandosi ad un patrimonio di valori, quali il senso di libertà,
di giustizia, di solidarietà, di equità, di relazione, di fiducia e di lealtà
tra i cittadini.
Una società democratica non può dunque non essere arricchita dal pluralismo delle posizioni, a condizione che sappia praticare la cooperazione nelle decisioni comuni al fine di garantire il bene di tutti i cittadini.
Ma oggi è effettivamente così? Si può rilevare che la qualità del rapporto tra società politica e società civile ha subito una crisi profonda tanto da insidiare la visione stessa della democrazia. Infatti, prevale sempre più una società disorientata, frammentata, individualista, protesa al raggiungimento del proprio tornaconto immediato, spesso indifferente al bene comune, attraversata da una dilagante illegalità, manipolata dai mass media e gravemente preoccupata del futuro. All’interno di questo contesto emergono dal comune sentire frasi del tipo "Cosa conta il mio voto? Io non posso fare niente; Cosa posso fare da solo? Tanto non cambia mai nulla!". Esse rivelano come l'indifferenza, il disinteresse verso il bene comune e il senso di sfiducia, risultati non solo di vicende eminentemente politiche ma anche del non senso e dello stato di isolamento in cui versa gran parte del mondo giovanile, albergano nel cuore dell'uomo d'oggi. Ma da dove deriva tale sfiducia? Essa è frutto di un vuoto, di un’assenza, di una mancanza. La mancanza di un vero dialogo, un dialogo alla pari, che metta in risalto l’inconsapevolezza dell’uomo d’oggi di essere egli stesso un potere, ovvero di essere una potenzialità per sé e per gli altri; potenzialità che, se non espressa, porta l’uomo a non conoscersi e a non farsi conoscere e, dunque, a non entrare in comunicazione. Ma non essere in comunicazione equivale a non essere in relazione. Ecco il punto! Alla base della crisi della democrazia c’è la crisi della relazionalità umana. Relazionarsi equivale a donarsi, regalarsi, dare quello che si è all’altro. Il fine del dono è il bene dell’altro.
Una società democratica non può dunque non essere arricchita dal pluralismo delle posizioni, a condizione che sappia praticare la cooperazione nelle decisioni comuni al fine di garantire il bene di tutti i cittadini.
Ma oggi è effettivamente così? Si può rilevare che la qualità del rapporto tra società politica e società civile ha subito una crisi profonda tanto da insidiare la visione stessa della democrazia. Infatti, prevale sempre più una società disorientata, frammentata, individualista, protesa al raggiungimento del proprio tornaconto immediato, spesso indifferente al bene comune, attraversata da una dilagante illegalità, manipolata dai mass media e gravemente preoccupata del futuro. All’interno di questo contesto emergono dal comune sentire frasi del tipo "Cosa conta il mio voto? Io non posso fare niente; Cosa posso fare da solo? Tanto non cambia mai nulla!". Esse rivelano come l'indifferenza, il disinteresse verso il bene comune e il senso di sfiducia, risultati non solo di vicende eminentemente politiche ma anche del non senso e dello stato di isolamento in cui versa gran parte del mondo giovanile, albergano nel cuore dell'uomo d'oggi. Ma da dove deriva tale sfiducia? Essa è frutto di un vuoto, di un’assenza, di una mancanza. La mancanza di un vero dialogo, un dialogo alla pari, che metta in risalto l’inconsapevolezza dell’uomo d’oggi di essere egli stesso un potere, ovvero di essere una potenzialità per sé e per gli altri; potenzialità che, se non espressa, porta l’uomo a non conoscersi e a non farsi conoscere e, dunque, a non entrare in comunicazione. Ma non essere in comunicazione equivale a non essere in relazione. Ecco il punto! Alla base della crisi della democrazia c’è la crisi della relazionalità umana. Relazionarsi equivale a donarsi, regalarsi, dare quello che si è all’altro. Il fine del dono è il bene dell’altro.
Esiste
ancora oggi una logica del dono? Ovvero, l’agire umano è oggi davvero finalizzato
esclusivamente alla felicità dell’altro, oppure l’interesse individuale prevale
sul bene comune? Dunque, l’uomo è il fine
o il mezzo della democrazia?
In verità
non può essere fine se non è mezzo. È solo nel momento in cui l’uomo si
concepisce come dono che si fa strumento per l’altro; donandosi, dunque,
diventa mezzo e, nello stesso tempo, realizza quella che è la felicità dell’altro,
ovvero il suo primo fine: il bene dell’altro che, allargato alla pluralità,
prende il nome di bene comune. E la democrazia cos’è se non il raggiungimento
del bene comune?
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